Continua la serie dei racconti. Qui Marco, che insieme a Filippo ha salito il “suo” sogno, il Cervino.
Grazie Marco per il bellissimo racconto.
Il mio Cervino
Questa è una storia che parte da lontano.
Da bambino, avrò avuto dieci o undici anni, frequentavo Cervinia d’estate partecipando alle “settimane bianche” organizzate da BiboSport.
Con un gruppo di coetanei, accompagnati da un maestro di sci, al mattino ci si allenava sulle piste dello sci estivo a Plateau Rosà, mentre il pomeriggio era dedicato a brevi escursioni e un po’ di ginnastica sui prati intorno al Lago Blu.
Di sera, dopo cena, si passeggiava per le vie di Cervinia. A volte capitava di incrociare gli atleti statunitensi del KL, disciplina in gran voga in quegli anni, oppure, se si era fortunati, ci si poteva imbattere in qualche componente della Valanga Azzurra o di qualche altra nazionale di sci alpino.
In quelle occasioni tutti, grandi e piccoli, si precipitavano a chiedere un autografo o una fotografia ricordo. Io restavo sempre un po’ in disparte, al buio, con il naso all’insu.
Ammiravo il profilo della Gran Becca, enorme, incombente sul paese, provando un sentimento che ancora oggi non so descrivere esattamente.
Un misto di attrazione e paura.
In certe sere di luna piena era possibile vedere chiaramente tutta la parete sud con i diedri ghiacciati, le torri di pietra, la Capanna Carrel, i nevai, le cenge, la cresta frastagliata e pianeggiante del Pic Tyndal, la vetta seminascosta.
Di giorno poi, dalle piste dello sci estivo al mattino e dai pascoli del Breuil al pomeriggio, continuavo ad ammirare affascinato quella piramide di roccia.
Allora non avevo alcuna nozione di alpinismo. Solo molti anni più tardi ho cominciato ad arrampicare un po’ e, conseguentemente, ad interessarmi alla storia di quello che gli Svizzeri chiamano Matterhorn.
Così, colmando le mie lacune, curiosamente scopro che è stato salito per la prima volta nel 1865, cento anni esatti prima della mia nascita, e che nel 1965, l’anno in cui sono nato, Walter Bonatti compie una delle più grandi imprese alpinistiche di tutti i tempi, scalando in solitaria invernale la parete nord.
Queste date, così come la quota esatta della vetta, i nomi dei primi salitori, i tentativi falliti a volte tragicamente, fanno parte del bagaglio culturale di ogni alpinista degno di tale nome.
E qui viene il punto.
Nonostante io frequenti e salga le montagne da più di 40 anni, non mi sono mai sentito un vero alpinista. Non che per definirsi tali ci voglia un qualche riconoscimento ufficiale, o una patente, ma so che le mie capacità e competenze nell’arrampicata su roccia e misto sono mediocri.
Dopo anni di salite, alcune anche di discreto impegno, me la so cavare, ma posso al massimo definirmi un alpinista “gregario”. Uno che quando le difficoltà superano un certo livello ha bisogno di essere guidato.
Inoltre ho sempre avuto un’elevata percezione del rischio, particolare che da un lato mi tutela, o almeno così mi piace credere, ma al tempo stesso limita fortemente lo sviluppo delle mie abilità alpinistiche.
Dico questo con serenità e senza falsa modestia, consapevole che queste affermazioni faranno alzare più di un sopraciglio ai tanti amici che, frequentando poco o nulla l’alta montagna, si complimentano con me per le mie salite.
Ho altrettanti amici, che alpinisti lo sono per davvero, che sanno cosa voglio dire e che condivideranno questa tesi.
Pertanto, tornando al Cervino, chi mi conosce veramente sa quanto, e da quanto, io desiderassi salire questa montagna. La Montagna!
Di occasioni per farlo negli anni passati se ne sono presentate diverse. Forse avrei potuto e dovuto coglierne almeno una, sta di fatto che per una ragione o per l’altra, non ultima il timore di non essere all’altezza, non l’ho mai fatto. Ma il desiderio è rimasto, immutato.
L’anno scorso ho compiuto 50 anni. Traguardo importante.
Contemporaneamente durante tutto l’anno si sono svolte varie celebrazioni per il 150° anniversario della prima salita al Cervino.
La mia compagna, Giada, ha rotto gli indugi e insieme a mio figlio, ai miei genitori, a mia sorella, ai miei nipoti e agli amici più cari, hanno ingaggiato una guida e mi hanno regalato un sogno. Era il 5 dicembre 2015.
E’ stato molto emozionante. Come mi accade spesso per metabolizzare gli eventi importanti ho bisogno di stare da solo e, possibilmente, di andare in montagna.
Pochi giorni prima di Natale quindi sono salito in Valtournenche a camminare, fin su all’Oriondé e oltre, alla croce Carrel, tanto per dare un’occhiata a questa meta così a lungo desiderata, e così temuta.
Ho passato l’estate in montagna, soprattutto in quota, per prepararmi. Non volevo rischiare di fallire a causa di qualche leggerezza. Se poi la sorte avesse deciso altrimenti, pazienza, ma non volevo aver nulla da rimproverarmi.
Ho fatto qualche arrampicata in cresta qui nel Biellese, poi nel gruppo del Rosa, la “solita” Signalkuppe, lo Strahlhorn con gli sci, il Dom de Mischabel e il Monte Bianco dal Gonella in traversata sul Mont Maudit e Mont Blanc du Tacul.
Per finire, quando ormai avevo concordato una data di massima per la salita al Cervino, sono andato a saggiare il terreno, e me stesso, fino alla capanna Carrel.
Sabato 10 settembre sono risalito alla Carrel con la guida alpina Filippo Livorno (e anche questa non è stata una scelta a caso…) e il giorno dopo, 11 settembre 2016, siamo saliti in 3 ore e 45 minuti, alle otto e mezza eravamo in cima.
Non è stata una salita difficile. Molto impegnativa questo si, ma non ho patito troppo, ed era quello che speravo. Volevo arrivare in cima con una riserva di energia sufficiente a godermi appieno il momento. E così è stato. Le condizioni meteo così come quelle della via erano perfette. Sono stato fortunato!
E’ stata un’emozione davvero grande sbucare in vetta, al sole, calpestare quei pochi metri di cresta affilata fino alla croce e, finalmente, poter allentare la tensione e lasciarsi andare.
Non ho pianto ma ci sono andato vicino. Il solito rituale delle fotografie. Il primo pensiero per Denis, poi tutti gli altri, non vi nomino ma c’eravate tutti. Uno sguardo all’orizzonte a 360° e un’occhiata alla parete nord, pensando alla solitudine di Bonatti in un ambiente così sconosciuto ed ostile, quando io nemmeno ero ancora nato.
Poi, dal lato opposto, in basso, piccolissima, Cervinia. Ho immaginato un bimbo, in quello stesso momento, guardare la cima di questa montagna immensa, spaventato ed attratto al tempo stesso. Ma forse non l’ho immaginato. Forse quel bambino c’era davvero. Forse anche lui tra qualche anno sarà qui sopra. So cosa proverà ma non ve lo voglio dire. Resterà una cosa tra me e lui.
di Marco Ganni
Se anche a te piacerebbe salire il Cervino, guarda il nostro programma dettagliato o contattaci per maggiori informazioni.
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